Renzi aveva promesso di stupire per il 29 agosto con una nuova “riforma” della Scuola. Nessuno si è stupito invece per il fatto che la promessa sia stata mancata. La prematura anticipazione da parte di Renzi era in effetti funzionale a fare un po’ di guerra psicologica contro gli insegnanti. Mentre li si tratta da bersaglio, si cerca allo stesso tempo di alimentare la loro mitomania, già ampiamente coltivata nei famigerati corsi di “formazione” e di “aggiornamento”.
Renzi lancia affermazioni assurde, come quella secondo cui tra dieci anni l’Italia sarà come l’avranno fatta oggi gli insegnanti. Non come l’avrà fatta la Scuola, il che sarebbe potuto passare come una semplice iperbole retorica, ma proprio gli insegnanti. Si umilia una categoria, ed allo stesso tempo si alimentano i suoi deliri di onnipotenza. Sembra un esperimento di Asch, con messaggi atti a determinare confusione mentale per indurre artificialmente uno stato di schizofrenia. La dichiarazione di Renzi non è stata deformata dai giornalisti, ma deriva da un suo post su Twitter, a dimostrazione di un uso spregiudicato dei media a fini di psywar. Creare gerarchie ed innescare competizione sfrenata tra i docenti costituisce sicuramente il modo migliore per affossare definitivamente l’istruzione pubblica, in modo che la Scuola serva solo come luogo di merchandising di prodotti finanziari.
Renzi rappresenta un vero e proprio strumento di guerra psicologica, utile in certi casi anche a distrarre e deviare l’attenzione, sempre verso futili questioni di ego. La copertina di “The Economist” dedicata alla barca dell’euro che affonda, è così diventata per i media la questione del gelato di Renzi. Nella barca della vignetta ci sono però anche la Merkel e Hollande, che, insieme con Renzi rappresentano una sorta di famigliola ignara, avviata verso il naufragio. Più in basso nella vignetta c’è il presidente della BCE, Draghi, rappresentato come l’unico consapevole, ma impegnato a cercare di salvare la barca con strumenti inadeguati.
Nella famigliola europea raffigurata da “The Economist”, Renzi viene visto come il figlioletto, il nuovo arrivato, e questo era il senso del gelato collocatogli in mano.
Evidentemente non era lui il bersaglio principale della satira, eppure i media italiani hanno fatto finta che così fosse, mettendo sù una pretestuosa questione di orgoglio nazionale. Per rafforzare questa interpretazione, alcuni giornali non hanno esitato a tagliare la parte bassa della vignetta.
In soccorso della versione “gelataia”, sono arrivate anche alcune dichiarazioni un po’ troppo sconclusionate di Sergio Marchionne, che riesce a dimostrare ancora una volta di essere stupido esattamente come sembra. L’opinione pubblica italiana deve così essere tenuta all’oscuro della vera questione, che riguarda direttamente le sorti dell’euro. La consapevolezza che il tempo dell’euro stia scadendo, è consentita alle opinioni pubbliche di Paesi come la Francia, la Germania o la Gran Bretagna, ma non a quella italiana, poiché qui nei prossimi mesi ci sono le famose “riforme” di marca FMI da varare. Che le “riforme” e le “spreming review” non avranno alcun effetto sulla sopravvivenza o meno della moneta unica, questo oggi in Italia è il vero segreto di Stato.
Il settimanale britannico “The Economist” infatti non è un giornale qualsiasi: è una voce delle lobby finanziarie più potenti. Non a caso sullo stesso numero del settimanale si trova una querelle del vittimismo padronale, a proposito di una presunta criminalizzazione del business americano, fatto oggetto dal governo federale USA di inchieste giudiziarie che poi finiscono in accordi riservati e multe. Secondo il settimanale ciò andrebbe a danno dei poveri azionisti, che si vedono sottrarre una parte dei loro dividendi. Il privilegio di poter sfuggire con qualche elargizione ai rigori della legge, viene così fatto passare per una vessazione. Il solito piagnisteo dei ricchi, che non si accontentano di cavarsela con multe, ma chiedono persino lo sconto.
Nello stesso numero del settimanale si dedica un’altro articolo alla “minaccia-Putin”. Lo scopo è di dare man forte alla lobby delle sanzioni finanziarie contro la Russia. Un tal genere di sanzioni si risolverebbe in un mega-business di riciclaggio finanziario, dato che l’oligarchia russa avrebbe bisogno dei vari Soros per gestire i suoi soldi all’estero, per cui è del tutto ovvio che “The Economist” alimenti lo stato di tensione con la Russia e la criminalizzazione di Putin.
Il settimanale britannico ci fa sapere che il lobbying finanziario si prepara alla fine dell’euro, ed ovviamente ci sono già pronte altre soluzioni. L’anno prossimo dovrebbe essere avviato il mercato transatlantico tra UE ed USA (il TTIP o “NATO economica”), e chiaramente ciò avrà ripercussioni anche sul piano monetario. Se la recessione tedesca dovesse cronicizzarsi nei prossimi mesi, la già fittizia leadership tedesca in Europa sarebbe ulteriormente screditata e indebolita, perciò la dollarizzazione dell’Europa si presenterebbe come una prospettiva credibile, e sarebbe resa persino desiderabile per l’opinione pubblica. Gli USA potrebbero facilmente spacciarsi come i salvatori della barca europea che affonda, tanto più che ci sarebbe la “minaccia-Putin” da tenere a bada.
Risulta sempre più evidente che la realizzazione del TTIP richiede che l’Europa ci arrivi in pessima salute, non come un partner degli USA, ma svolgendo la parte del paziente da strappare dal coma. Una delle regole auree dell’imperialismo è che ci si inventi dei nemici, in modo da poter fregare soprattutto gli “alleati”.
4 settembre ’14 COMIDAD